“Lei è di Frassenè vero?”
“ Si, certo, ma come fa a saperlo?”
“ Sulla tuta c’è scritto Della Lucia e i Della Lucia sono di Frassenè!”
“Ha ragione Alba”, rispondo.
E lei: “ Conosco un medico di Frassenè, il Dottor Della Lucia, mi ha visitato tanti anni fa in Pneumologia, ma io mi ricordo soprattutto del suo suo papà. Ah, quello sì che era un uomo straordinario!”
E comincia a tesserne le lodi.
“Pensi che ha curato entrambi i miei genitori quando erano ricoverati all’Ospedale di Agordo. Dava le uova ai vecchi perché si tirassero su prima; diceva che valeva più la pratica che la grammatica …”
Mi pare di vivere in un’altra dimensione, racconta fatti di almeno quarant’anni fa col sapore e la freschezza di ieri.
Sento che sta per esplodermi un vulcano dentro.
Le chiedo allora se ricorda distintamente di essere stata curata da un medico di Frassenè che si chiama Della Lucia.
“ Lo ricordo molto bene” risponde - “è il figlio del Bepi Infermier”.
“ Quel medico sono io signora…” le dico abbassando lo sguardo e poi continuo con voce incerta, quasi rotta dall’emozione
“l’infermiere di cui sta parlando, il Bepi, è mio padre”,
Mi correggo “era mio padre”.
E resto immobile per un attimo che sa di eterno.
“ Mi sono sempre chiesta in tutti questi anni che fine avesse fatto el Bepi infermier”.
Abbassa lo sguardo.
“Non sapevo che fosse morto, mi dispiace”
A stento trattengo l’emozione.
“E’ successo due anni fa, poco prima di compiere 96 anni…”
Mi lascio andare ai ricordi.
Orfano del suo papa’ a soli 14 anni; mio nonno Spiridione Leonida era morto infatti molto giovane a causa di un ascesso ad un dente…all’epoca non c’erano ancora gli antibiotici.
Alpino in guerra a 20 anni, uno di quelli mandati a “spezzare le reni alla Grecia” e sopravvissuto per miracolo o per fortuna a proiettili e polmonite “doppia” durante la ritirata. Da allora è stata vita dura, per badare alla nonna e alla sorella mentre i due fratelli cercavano fortuna lontano da casa; dal ‘57 in poi ha potuto pensare anche alla sua famiglia… ma senza dimenticare le amate zie.
Ha dovuto apprendere presto l’arte del vivere in una famiglia matriarcale, imparando dalla sarta del “casato dei 2”, la Jaia Cencia, a cucire per campare, ma anche a medicar ferite.
Amante delle sue montagne e bravo sciatore con un innato senso del sociale e dell’accoglienza, senza mai giudizio di bandiera, cosa davvero rara.
Infaticabile contadino per necessità, quella che lui chiamava “ la fabbrica dell’appetito”, dai quarant’anni in poi si era dedicato all’assistenza dei malati, dentro e fuori l’ospedale, girando tutto l’Agordino per finire a fare il nonno a tempo pieno, orgoglioso dei suoi 13 nipoti, mestiere questo che ha interpretato in modo straordinario fino alla fine.
Lascio i ricordi e ascolto...
Dispiaciuta non meno che sorpresa da questo strano incontro, mi racconta con dovizia di particolari le qualità di un uomo che ha saputo farsi voler bene per la capacità di stare con le persone in modo genuino e semplice.
“Sa dottore, il sorriso del suo papà, le sue battute di spirito e le buone parole conquistavano e davano allegria e coraggio a chi incontrava, soprattutto ai suoi malati.
Queste persone a cui faceva riferimento la signora erano i ricoverati del reparto di Medicina dell’Ospedale di Agordo, dove mio padre lavorò come infermiere generico, fin dalla sua apertura, nel lontano 1963.
Ricordo ancora quando mi confidò del suo primo stipendio, quindicimila lire appena sufficienti a risollevare l’economia della nostra famiglia e di una professione non più richiesta, quella del sarto, lasciata per necessità dopo l’avvento dei vestiti confezionati, costringendolo, a quarant’anni e già due bocche da sfamare, a cercare un nuovo lavoro.
Mi si appanna la vista e mi tremano le gambe mentre parlo di mio padre, la mia musa ispiratrice e il mio faro.
Nel solco tracciato con la mamma, fedele alleata sempre al suo fianco, noi quattro fratelli abbiamo camminato al sicuro, seminato non senza fatica e raccolto con abbondanza e riconoscenza.
Mi sento colmo di gratitudine per questa donna che pare uscita da un racconto del libro Cuore; una donna che, senza saperlo, ha fatto memoria delle mie radici, felice per aver riconosciuto dietro una tuta con sopra un cognome a lei caro, il figlio di un uomo semplice, dal sorriso accogliente e con una buona parola per tutti, a cui lei era rimasta perennemente grata.
Mio padre